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...da Hannover a Roma
martedì 3 febbraio 2015

Chiesa di S. Maria dell’Anima
martedì 3 febbraio, ore 20:30
INGRESSO LIBERO

musiche di : Antonio Caldara, Antonio Lotti, Alessandro Scarlatti, Agostino Steffani
e di Krzysztof Penderecki, Charlotte Seither

Norddeutscher Figuralchor
Wilhelm Schmidts, organo solo

Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima
Alessandro Albenga, organo
Andrea Buccarella, clavicembalo
Andrea Damiani, tiorba
Matteo Scarpelli, violoncello
Giacomo Albenga, contrabbasso

Jörg Straube, direttore

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Note al Programma
di Luca Della Libera

Agostino Steffani nacque a Castelfranco Veneto nel 1654: fu compositore, uomo di chiesa e diplomatico. I suoi duetti da camera rappresentano un momento importante nello sviluppo della musica profana tra Carissimi e Haendel. La sua prima educazione avvenne a Padova, alla Chiesa del Santo, come cantore soprano tra il 1664 e il 1667. A soli tredici anni fu chiamato a Monaco, evidentemente grazie alle sue straordinarie qualità musicali, dall’elettore Ferdinando Maria di Baviera. Fu a Roma per quasi due anni, dal 1672, e fu allievo di Ercole Bernabei, in quell’epoca maestro della Cappella Giulia in San Pietro. A Roma Steffani pubblicò la Psalmodia Vespertina, per poi tornare nel 1674 a Monaco con Bernabei. Nel 1681 fu nominato direttore della musica da camera, e a quel periodo risale la sua prima opera, Marco Aurelio. In questo periodo egli iniziò la sua attività di diplomatico alla corte dell’elettore Massimiliano II Emanuele. Nel 1688 lasciò Monaco per Hannover, al servizio del duca Ernst August di Hannover, probabilmente perché a Monaco egli non vedeva prospettive d’avanzamento nella carriera. Il suo arrivo coincise con realizzazione della prima compagnia d’opera italiana, ed egli fu nominato kapellmeister. Negli anni Novanta la sua attività diplomatica s’intensificò con i negoziati per avere Hannover come sede di elettorato ed egli ebbe un ruolo anche nelle manovre che precedettero la Guerra di successione spagnola. Nel 1703 entrò al servizio dell’elettore palatino Johann Wilhelm a Düsseldorf, dove per sei anni ebbe incarichi prevalentemente politici; qui la sua carriera ecclesiastica raggiunse l’apice, con la nomina a vescovo di Spiga. Tra il 1708 e il 1709 fu a Roma per mediare il conflitto tra papa e imperatore e poi fu nominato vicario apostolico per la Germania del nord e in seguito, a parte brevi viaggi ancora in Italia, si stabilì ad Hannover e poi a Francoforte, dove morì nel 1728. Due dei brani in programma, Beatus vir e Laudate Dominum appartengono alla Psalmodia Vespertina. Scritta da uno Steffani non ancora ventenne, questa raccolta fu pubblicata nel 1674. Questa raccolta, che conta tredici salmi e un Magnificat per doppio coro e organo, segna la conclusione del breve periodo di formazione del giovane musicista nella città eterna. La scelta di pubblicare una raccolta di Vespri per doppio coro come primo frutto dello studio del cosiddetto ‘stile antico’ ha come modelli precedenti le raccolte analoghe pubblicate qualche decennio prima da Viriglio Mazzocchi e Bonifazio Graziani. La collezione contiene i salmi più utilizzati nei vespri: quelli domenicali, quelli per i Confessori, per gli Apostoli e per la Vergine e si conclude canonicamente con un Magnificat, che fu pubblicato da Padre Martini nel suo Esemplare, ossia Saggio fondamentale pratico di contrappunto, e che mostra già i caratteri tipici dello stile di Steffani, come l’assetto magniloquente insieme alla maestria per l’invenzione melodica. Suscita ammirazione il fatto che Martini abbia voluto pubblicare questo Magnificat come modello da proporre ai giovani, scritto da un musicista non ancora ventenne, quasi un secolo dopo la sua composizione. La scrittura policorale dei due brani è essenzialmente basata su una continua alternanza dei due cori, ciascuno dei quali intona una parte di ogni versetto, con qualche isolata intersezione nella quale un vocabolo è isolato e ripetuto. La scrittura è essenzialmente sillabica, ma si trovano anche episodi imitativi e melismatici. L’antifona Triduans a Domino fa parte di un manoscritto conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge ed è datato 20 novembre 1673, quindi durante il soggiorno romano. Si tratta dell’antifona per il quinto Salmo del secondo Vespro della festa di Santa Cecilia (22 novembre) ed è possibile che esso sia in relazione alla sua appartenenza alla Congregazione dei Musici di Santa Cecilia. Questo è l’unico esempio di mottetto a otto voci nello stile di Palestrina ed è suddiviso in due parti uguali, la prima contrappuntistica e la seconda antifonale. Charlotte Seither (1965) è una delle compositrici tedesche più affermate sulla ribalta internazionale. Ha al suo attivo numerosi riconoscimenti e premi internazionali: i suoi lavori sono stati eseguiti in tutto il mondo. Hora, per quattro soprani, tre contralti e bassi, è stato composto nel 2003 e la sua prima esecuzione è avvenuta a Berlino il 2 ottobre 2004. Il testo è tratto dal Lux aeterna del Requiem. Nelle parole della compositrice l’organico del brano è pensato come una sorte di piramide rovesciata, nella quale manca la parte centrale, data l’assenza dei Tenori, in una sorta di esplorazione timbrica e di micro intervalli, nei quali le parole sono immerse in un ‘continuum’ ininterrotto. Il Crucifixus è il centro emotivo del Credo, e il suo testo così drammatico ha sollecitato la sensibilità di tanti compositori attenti alla relazione tra la natura del testo intonato e la sua realizzazione sonora. I brani in programma ne rappresentano due tra i momenti più commoventi di tutta la musica sacra del Settecento. Sebbene diversi per organico e stile compositivo, entrambi sono permeati da una fortissima tensione espressiva. Il primo è di Antonio Lotti, nato ad Hannover nel 1666, dove suo padre era kapellmeister, e morto a Venezia nel 1740. Dal 1683 si stabilì a Venezia, dove studiò con Giovanni Legrenzi, per poi entrare a far parte della Cappella di San Marco con vari incarichi, culminati nella nomina a maestro di cappella dal 1736 all’anno della sua morte. Come molti suoi contemporanei, Lotti fu anche un apprezzato operista, e suoi lavori furono allestiti alla corte di Dresda tra il 1717 e il 1719. Il suo Crucifixus a otto voci fa parte di un Credo, conservato manoscritto nella Sächsische Landesbibliothek di Dresda, anche se probabilmente fu composto a Venezia. La sua grande popolarità si deve alla sua pubblicazione nel 1860 dell’antologia Musica sacra di Franz Commer. Il secondo brano è di Antonio Caldara, nato a Venezia nel 1671 e morto a Vienna nel 1736, uno dei più prolifici compositori della sua generazione. Formatosi anch’egli alla scuola di Legrenzi, fu attivo a Mantova, Roma e a Vienna, dove dal 1716 fu a capo della cappella musicale di corte fino alla sua morte. Il suo Crucifixus, il cui manoscritto è conservato nella Collezione Santini di Münster, è davvero inusuale per l’organico di ben sedici voci, che oltretutto non sono suddivise in quattro cori, bensì in quattro gruppi di voci dello stesso registro: quattro soprani, quattro contralti, quattro tenori e quattro bassi. Questo ovviamente pone molti problemi per quanto riguarda l’intelligibilità del testo, soprattutto nei momenti in cui sono presenti tutte le voci. Il brano è costituito da tre sezioni, ciascuna delle quali si sviluppa partendo da poche voci per concludersi con tutte le voci. Il motivo più importante è la melodia sulla quale è intonata la parola ‘Crucifixus’, una semplice melodia carica però di riferimenti simbolici: una sesta minore ascendente, una settima diminuita discendente, un semitono ascendente, una vera e propria rappresentazione sonora della croce. Krzystof Penderecki, nato a Debica nel 1933, è il più grande compositore polacco vivente. La sua figura, perlomeno all’inizio della sua carriera, è stata sinonimo di musica d’avanguardia, ma nella seconda parte della sua parabola creativa il suo repertorio ha visto una personale rivisitazione degli stilemi musicali del diciottesimo e diciannovesimo secolo. La sua produzione sacra, in particolare quella a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, fu certamente influenzata da decisivi avvenimenti, come l’elezione al papato nel 1978 di Papa Wojtyla, al quale dedicò il suo Te Deum. La sua musica di quegli anni evoca in qualche misura il contrasto e le tensioni tra stato e chiesa, sebbene egli, a differenza di Lutoslawski e Gorecki, abbia continuato a mantenere contatti con il potere politico polacco. Questa sorta di patriottismo ha spinto l’autore a sviluppare il suo linguaggio neo romantico a un punto dove le convenzioni del rinascimento e del classicismo sono chiaramente riconoscibili. Questo avviene nell’Agnus Dei, composto nel 1981, nel quale si respira una tensione rarefatta e mistica, realizzata attraverso una scrittura in filigrana, dove sono presenti profonde radici rinascimentali e nello stesso tempo un allargamento dei campi armonici molto esteso, che culmina nell’esclamazione intonata sul ‘fortissimo’ in ‘peccata mundi’ alla metà del brano. Alessandro Scarlatti (Palermo 1660 – Napoli 1725) è stato uno dei compositori più importanti del suo tempo. La sua biografia professionale si svolse tra Roma e Napoli, dove fu al servizio d’importanti istituzioni musicali religiose e in contatto con i più grandi mecenati. La sua attività romana nel campo delle istituzioni ecclesiastiche lo vide impegnato nelle cappelle romane di San Giacomo in Augusta, dell’Oratorio di San Girolamo della Carità, Chiesa Nuova e Santa Maria Maggiore, mentre a Napoli fu alla guida della Real Cappella. Scarlatti fu anche in stretto contatto con i cardinali Benedetto Pamphilj e Pietro Ottoboni. Autore di un repertorio vastissimo e ancora in gran parte da studiare, Scarlatti è una figura decisamente anomala nel panorama musicale barocco, in particolare per il suo stile così ricco e complesso, che non concede mai nulla all’ascoltatore; la grande tradizione rinascimentale e le istanze degli ‘affetti’ convivono in modo originale e affascinante. Tu es Petrus per doppio coro e organo è la quinta antifona per i Vespri della festa di San Pietro e Paolo e San Pietro ad Vincula, è uno dei brani di musica sacra più popolari di Scarlatti. Ne sopravvivono ben quarantacinque copie manoscritte nelle biblioteche di tutta Europa. Un’indicazione posta da Fortunato Santini su una copia indica che il brano fu scritto «per San Pietro in Vaticano». La supposizione che questo brano fosse stato cantato a Parigi nel 1804 per l’incoronazione di Napoleone come re dei francesi è priva di fonti documentarie.La popolarità del Tu es Petrus si deve probabilmente al fatto che questo brano rappresenta un vero e proprio sfoggio di maestria contrappuntistica, che va ben al di là della sua funzionalità liturgica. Il brano non prevede mai raddoppi di parti e possiede quindi un ricchissimo tessuto timbrico: si basa su tre motivi, ciascuno per ogni versetto. Il carattere e la brevità del testo spingono l’autore a fare grande sfoggio della propria abilità nel contrappunto. Da battuta 28 in poi in realtà l’aspetto liturgico è concluso e quindi il brano potrebbe essere finito. In realtà Scarlatti  inizia qui  la sua vera e propria opera di ‘inventio’ ed elaborazione. Questo brano segue non tanto lo stile dominante della musica sacra del suo tempo, ma vuole essere uno sfoggio di erudizione nel quale l’autore dimostra di dominare la maestria contrappuntistica, mantenendo vive le testimonianze dell’appartenenza al suo tempo ed è probabilmente per questo motivo che ebbe così grande successo. Il testo del Magnificat, così come lo conosciamo, appare nel Vangelo di San Luca (I, 46-55) e, oltre ad avere chiari riferimenti a vari passi dell’Antico Testamento, deriva da un inno ebreo o ebreo-cristiano precedente. Si tratta di un cantico di lode a Dio pronunciato dalla vergine Maria nella sua visita ad Elisabetta. La posizione del Magnificat, nell’ambito della liturgia, è in un momento di grande importanza: esso si canta, infatti, insieme con un’antifona, alla fine dei Vespri. A parte l’ordinario della Messa, il Magnificat e il Salve Regina sono stati i testi liturgici più spesso posti in polifonia dalla metà del quindicesimo secolo all’inizio del diciassettesimo. L’ampia diffusione del testo del Magnificat è senza dubbio collegata alla pratica liturgica: stabilizzato come momento culminante dei Vespri quotidiani, il Magnificat latino era cantato sia nelle chiese cattoliche sia nelle prime chiese protestanti, normalmente in polifonia nelle domeniche e nei giorni di festa. Il Magnificat è suddiviso in diverse sezioni, ciascuna delle quali con delle caratteristiche diverse dalle altre sia per quanto riguarda l’organico, il tipo di scrittura e l’ambito tonale. Il basso continuo non si limita solo alla funzione di raddoppio delle parti vocali, ma talvolta ha una sua condotta autonoma. Scarlatti mette in evidenza la grande ricchezza e varietà del testo mariano con i suoi molti vocaboli legati alla sfera emozionale e a quella descrittiva: il verbo «exaltare», in varie declinazioni; la pulsazione ritmica danzante per «exsultavit spiritus meus»; gli arpeggi ascendenti su «Et exaltavit»; l’intervallo di quarta ascendente e lunghi vocalizzi ripetuti per l’aggettivo «potens»; disegni discendenti per «deposuit» e «humiles»; intervallo dissonante (quarta ascendente diminuita) per «misericordiae suae»; lunghi passaggi virtuosistici per «Gloria». Scarlatti inizia il suo Magnificat in un’atmosfera intima e raccolta, che inizia con sole due voci (Canto secondo e Alto), che scaturisce dall’evocazione della melodia gregoriana, affidata al Canto secondo, intorno alla quale si formano delicati intrecci sonori e momentanee dissonanze, come l’accordo di settima, che torna sistematicamente sull’accento tonico della parola «Magnificat», prima al Tenore e poi per ben tre volte al Basso. Nella seconda sezione, «Et exultavit» non ci sono riferimenti all’intonazione gregoriana: la scrittura imitativa in tempo ternario, con lunghi episodi melismatici sul verbo «Exaltavit», lascia il posto  a blocchi accordali nella seconda parte del versetto. La terza sezione, «Quia respexit», è affidata al primo soprano solo, ad eccezione dei brevi interventi accordali del coro su «omnes generationes», ripetute ben quattro volte, mentre nel versetto successivo, di nuovo affidato al soprano solo, emergono i lunghi vocalizzi di semicrome sul vocabolo «potens», ripetuti tre volte. Una densa scrittura accordale caratterizza «Et misericordia ejus», che si apre al Basso con il tetracordo discendente, topos del lamento. «Fecit potentiam» ha un carattere imitativo, con significative figurazioni rapide discendenti sulla parola «dispersit». La scrittura a cinque parti torna in «Deposuit», con intervalli come la quarta ascendente per «potentes» e gli arpeggi ascendenti su «et exaltavit». La sezione «Esaurientes», affidata a Soprano primo, secondo e Tenore, è in suddivisa musicalmente in due parti: la prima arriva a «Puerum suum», mentre nella seguente Scarlatti usa sistematicamente l’intervallo di quarta diminuita ascendente per la parola «misericordia», in tonalità minore dalla sensibile al terzo grado, ripetuta ben otto volte. La sezione «Sicut locutus est» torna una poderosa scrittura omofonica, mentre il «Gloria patri» inizia con virtuosistici passaggi di Soprano primo e secondo prima della rapida conclusione corale. Il «Sicut erat» è costruito su un impianto contrappuntistico, nel quale si contrappongono la melodia gregoriana e il controsoggetto su «et nunc et semper», per confluire direttamente in «Et in saecula saeculorum» con un cambio di metro (3/2) e una scrittura omoritmica, prima di ritornare all’Amen conclusivo, contrappuntistico.